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Prima di parlare dell’Ars Ricicla – arte del riciclo, che pratico con passione (vedi anche la pagina Tu, io e l’arte di questo sito), degli ambiti in cui spazio, dell’approccio e delle tecniche che uso e quindi di farvi vedere qualche esempio concreto, voglio fare una premessa importante.

FIGLIA D’ARTE

Mio padre è stato, nel suo piccolo quotidiano, un pioniere del riciclo in tempi non sospetti, quando il riciclo era più che altro un’arte di sopravvivenza nel mondo del secondo dopoguerra. Le cose non si buttavano, si riparavano e si riusavano finché non cadevano a pezzi. Non perché fosse una moda del DIY o un modo politicamente corretto, “green” o “eco-friendly” di vivere ma perché all’epoca per alcuni non c’era proprio altra possibilità. Le madri comunque rivoltavano abiti e disfacevano maglioni da tempo immemore. Col tempo, col boom economico degli anni ‘60 del secolo scorso quest’arte è stata messa da parte e dimenticata, come una cosa di cui vergognarsi, ma mio padre non l’ha mai abbandonata. Con ammirevole impegno e tenacia ha continuato a raccogliere e conservare tutto ciò che, secondo lui, un giorno sarebbe potuto “tornare utile, non si sa mai!” (foto: lo statore di un motorino fuso di un ventilatore diventa portacandele – mio padre l’avrebbe adorato). E così continuava a riempire lo spazio sotto casa nostra, che secondo l’architetto avrebbe dovuto essere un secondo appartamento, ma che fu conseguentemente ribattezzato “cantina”. Lo riempiva di oggetti di tutti i tipi e taglie, dalla vitina, alla maniglia, alla vecchia aspirapolvere anni ’50 al tavolo liberty fino all’armadio a tre ante. Alcune erano cose senza alcun valore, altre erano articoli di potenziale antiquariato privati di qualche pezzo vitale. Il mio babbo non voleva rivendere le cose che ammucchiava, lui le metteva da parte casomai un giorno servissero. Mia madre si ricorda ancora le infinite ricerche agitate di mio padre che si chiudeva in cantina per trovare proprio quell’oggetto che lui sapeva di avere raccolto e che doveva essere lì, proprio lì. Nel caos ovviamente, perché nulla era disposto né con ordine né con criterio, era mollato lì, accatastato senza catasto. Magari ci metteva un giorno intero per trovarlo quel pezzo, ma alla fine risaliva in casa trionfante esclamando: L’ho trovato! Lo sapevo che c’era! Ed è proprio ciò che mi serve ora per fare questo e quello!”

In realtà l’amore di mio padre per le cose smesse confinava un po’ con l’accumulazione seriale, anche se con un fondamento di utilità concreta. Se non ci arrivò fu solo perché mia madre gli pose il veto: gli era concesso di stipare gli oggetti e imperversare solo nell’appartamento vuoto di sotto, in “cantina”. L’accordo gli vietava di espandersi oltre.

Da piccola per me quello era un luogo oscuro e misterioso, dal soffitto alto alto, pieno di cunicoli e anfratti, pieno di polvere e odori antichi, di muffa e olio, grasso ed essenze sconosciute, oltre all’occasionale topo morto che lì non se l’era passata bene, perché non c’era cibo e mio padre aveva anche piazzato qua e là delle trappole, rigorosamente riciclate. Era un tempio, una fucina di Vulcano in cui mio padre si rifugiava dopo il lavoro e da cui bisognava trascinarlo via la sera, per farlo salire a cena. Spesso toccava a me scendere a chiamarlo e ci andavo sempre con un po’ di soggezione.

Mia madre era la degna compagna del riciclatore compulsivo che era mio padre ma aveva una sua specialità e soprattutto non era compulsiva. Lei agiva solo su ispirazione, se aveva l’estro. La sua arte erano il cucito e la maglieria. Faceva vestiti e maglioni ex novo ma era altrettanto attiva nello smontare, disfare e ricavare filati e stoffe da capi smessi per poi reimpiegarli in qualche modello fantasioso. Aveva imparato a cucire usando la rivista tedesca Burda con l’aiuto e i consigli di un’amica vicina di casa, ex camiciaia. Con la scusa che i vestiti che faceva erano per noi, a me e mia sorella assegnava i lavoretti preparatori più noiosi per cui alla fine rimanevamo lì a guardare la vera magia e “rubavamo con gli occhi”. È così che imparai a cucire. Per osmosi, quasi. Andavo a progetto. Dicevo, mamma vorrei che tu mi facessi questo o quello e lei si scansava, diceva sì, ma inizia tu, fai finché riesci poi ti aiuto io. E così feci, finché non ci fu più bisogno di aiuto, istruzioni o indicazioni. Alla fine, discutevamo solo sul modo migliore di portare a casa il capo finito (foto: cappotto ricavato da pezze di pantaloni jeans di tutte varie taglie, colori ed epoche).

Inutile dire che nonostante il percorso scolastico, universitario e professionale mi abbia fatto fare tutt’altra strada nella vita, ad un certo punto questa doppia radice, materna e paterna, doveva germogliare e fare crescere una sua pianta. Anche se tenuta un po’ in sordina questa radice non era mai stata del tutto estirpata: un cuscino di qua, un vestito di carnevale per mia figlia di là, una camicetta, un maglione creativo. Ogni tanto mi cimentavo con estrema soddisfazione nell’arte appresa da mia madre: smontavo vecchi abiti e li ricomponevo, primi fra tutti i jeans. Finché poi un giorno, da adulta oramai, non presi coraggio e mi tuffai a seguire anche la scia paterna: ridare vita a oggetti o materiali scartati. La prima cosa che feci da “riciclaia” fu riciclare il cartone.

Anni prima avevo ripreso a fare attività creative, avevo fatto un corso di ceramica e uno di scultura, usando la creta.

 

Decisi di provare a usare la stessa manualità senza dovere usare il forno per cuocere la ceramica e senza dovere andare a comperare la materia prima. Decisi di crearmela da sola.

 

C’era senz’altro la carta con cui fare la cartapesta, ma non mi piaceva il grigio che veniva fuori dalla carta di giornale, la fonte primaria di carta più facilmente reperibile e a costo zero, anche se poi la potevo colorare e verniciare. Inoltre, la carta di giornale spesso sporca le mani di inchiostro.

La tinta marroncina di varie gradazioni che usciva dal cartone aveva un’aria naturale che mi piaceva di più, così mi buttai su quello. Iniziai così a differenziare e selezionare i vari tipi di cartone e a fondere i primi frullatori nel tentativo di ottenere una polpa bella liscia.                  

Una volta che ci si concede il lusso di pensare “outside the box” come dicono gli anglosassoni, “fuori dalla scatola” delle consuetudini e delle abitudini, e di guardare alle cose, agli oggetti che ci circondano da un’angolazione diversa, poi non si torna più indietro, quell’attitudine resta per sempre.

Questo è, insieme ad altri, un punto importante su cui mi soffermerò più avanti. Prima però facciamo un passo indietro. Un po’ di date, dati e terminologia, tanto per inquadrare la questione.

CHE COSA SI INTENDE PER RICICLO

Cos’è il riciclo lo sappiamo tutti, in linea generale, ma forse è bene specificare meglio anche gli altri concetti che ruotano attorno al riciclo e che nel linguaggio comune vengono confusi con esso.

Partiamo dalle cosiddette 5 R, Riduzione – Riuso (riutilizzo) – Riciclo – Raccolta – Recupero, che troviamo per la prima volta nel

Decreto RonchiD. Lgs n.22 del 5 febbraio 1997

che recepisce l’attuazione di 3 normative europee significative: 91/156/CEE sui rifiuti; 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi; 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio. Con questo decreto la legge italiana ha iniziato a preoccuparsi del corretto processo di gestione dei rifiuti. Infatti, fino a quel momento, lo smaltimento in discarica era la modalità più diffusa e la legislatura in merito era lacunosa e poco chiara. Il decreto introdusse anche un sistema più equo di tassazione per la produzione dei rifiuti, nonché il cosiddetto principio del “chi inquina, paga”. Risale a questo periodo la diffusione in Italia del concetto di riciclaggio e di recupero dei materiali attraverso la raccolta differenziata.

Attualmente il Decreto Ronchi è stato superato e abrogato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (T.U. Ambiente) e sue successive modifiche ed integrazioni. Una delle modifiche più importanti è avvenuta con l’emanazione del Decreto Legislativo del 3 dicembre 2010, n. 205 – che ha recepito nell’ordinamento italiano la Direttiva Europea 2008/98 CE sui rifiuti.

I concetti espressi dalle 5 R vengono spesso riuniti tutti sotto un unico cappello del riciclo, ma per gli scopi dell’economia circolare e delle politiche orientate alla sostenibilità ambientale sono ben distinti. Vediamo come:

  1. RIDUZIONE = produrre beni e servizi usando una minore quantità di risorse

Consiste nella concreta riduzione dell’origine dei rifiuti attraverso l’adozione di opportune linee comportamentali da seguire. Durante l’acquisto il singolo cittadino può scegliere prodotti con imballaggi ridotti e/o riutilizzabili. Piccoli accorgimenti che su larga scala hanno un peso notevole.

  1. RIUSO/ RIUTILIZZO = recuperare e riutilizzare prodotti quando non sono ancora diventati rifiuti

Significa allungare la vita utile del prodotto invece di buttarlo via al minimo segno di usura. implica un’azione immediata di ripristino della funzione dell’oggetto, per evitare che diventi immondizia. Il rifiuto è riutilizzato senza subire alcuna trasformazione: una scatoletta è riutilizzata per contenere prodotti diversi da quello originario, un sacchetto della spesa è riutilizzato per contenere altri oggetti.

Riutilizzare uno stesso prodotto significa accrescere il valore d’uso del bene ed evitare di produrne altri per svolgere la stessa funzione. In termini più generali può essere considerato uno stile di vita, un atteggiamento mentale e culturale che prende forma nella vita quotidiana attraverso piccoli gesti di attenzione. L’insieme di questi piccoli gesti si trasforma in una vera e propria attività economica che punta a ricollocare e reinventare prodotti ancora riutilizzabili.

  1. RICICLO = smaltire correttamente i rifiuti per poterli trasformare in nuove risorse.

Si riutilizza un bene che non è ancora diventato un rifiuto e si ricicla ciò che invece già lo è e che apparentemente non è più funzionale allo scopo per il quale è stato prodotto. Si trasforma quindi attraverso processi industriali, chimici, meccanici o termici, un materiale di scarto in nuova materia prima da immettere nuovamente nel ciclo di produzione.

Riciclare un oggetto significa farlo passare attraverso qualche processo che ne cambi la sua stessa natura/essenza in modo che possa essere riutilizzato nuovamente. Il riciclaggio utilizza energia e causa un certo grado di inquinamento, mentre il riuso no.

Obiettivi del riciclo:

  • ridurre la quantità di rifiuti e risorse persi nelle discariche o inceneriti;
  • risparmiare energia necessaria per creare nuovi prodotti dalla materia prima;
  • ridurre le emissioni di gas a effetto serra (inquinamento), causa del cambiamento climatico globale;
  • aiutare a sostenere l’ambiente per le generazioni future.

Perché il riciclo possa avvenire però è essenziale che il sistema di raccolta differenziata dei rifiuti sia rigoroso, condiviso ed efficiente.

  1. RACCOLTA = differenziazione dei rifiuti

Protagonista indiscusso di questa azione è il cittadino attraverso il giusto conferimento negli appositi raccoglitori a seconda di quanto predisposto dalle amministrazioni locali. L’obiettivo è ridurre il volume finale dei rifiuti destinato alle discariche e il risparmio di materie prime ed energia.

  1. RECUPERO = recupero di energia

Buona parte dei materiali di scarto non riutilizzabili o riciclabili possono essere inceneriti e trasformati in energia termica o elettrica attraverso impianti di termovalorizzazione, luoghi alternativi alle discariche.

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All’interno della categoria del riuso/riutilizzo il mondo anglosassone applica un’ulteriore distinzione e cioè fra REUSE (riuso) e REPURPOSE (riqualifica, conversione).

      2.1  REUSE – RIUTILIZZO

“Utilizzare nuovamente, specialmente in modo diverso o dopo il recupero o la riconversione”. Quindi “uso ulteriore, diverso o utilizzo ripetuto”.

(negozi di rivendita, abbigliamento di seconda mano, lasciti di famiglia, pavimenti recuperati, antiquariato e altri pezzi recuperati, mobili o comodini ridipinti o restaurati)

     2.2 REPURPOSE – RIPROPORRE

“Attribuire un nuovo scopo o uso a qualcosa” oppure “trovare un nuovo utilizzo per un’idea, un prodotto o un edificio”. Una definizione leggermente più chiara è “riutilizzare il materiale (di scarto) nel suo stato originale, ma per uno scopo diverso”.

(appendere un tappeto come decorazione murale, utilizzare un vecchio barattolo come vaso, trasformare un vecchio televisore in un acquario, un calza trasformata in marionetta)

Mentre il reuse riutilizza un prodotto per il suo scopo originale in un nuovo luogo o modo, il repurpose lo ripropone trovando un nuovo scopo per un materiale già esistente. Non subisce alcun tipo di trasformazione come accade nel riciclaggio, ma semplicemente trova un nuovo scopo rispetto a quello originale. 

La tabella qua sotto riassume le principali caratteristiche e sottocategorie del riciclo e riuso.

Come avete visto per l’economia circolare e la produzione industriale il riciclo e il riuso con i relativi scopi sono due step molto diversi, nel quotidiano però quando faccio le mie creazioni la differenza diventa più sfumata e a volte la distinzione anche superflua. Quando faccio un vaso con una bottiglia di plastica e il cartone si tratta di riuso (perché uso una bottiglia come contenitore che ancora non è un rifiuto) o di riciclo perché il cartone non solo era già un rifiuto ma è passato anche attraverso una sostanziale trasformazione?

Attenzione, non è finita qui! 

Sarebbe troppo facile. 

Abbiamo anche altre categorie che denotano il riuso e il riciclo: il refashion, l’upcycling e il downcycling o riciclo a cascata (riciclo a ciclo aperto) e il riciclo a ciclo chiuso.

Si parla di upcycling, noto anche come riuso creativo, se un prodotto derivato da materiale riciclato (sottoprodotti, materiale di scarto, prodotti inutili o indesiderati) ha un valore – artistico, ambientale, percepito – o qualità pari o superiore rispetto al prodotto originale. Per migliorarne la qualità spesso si usano componenti di materia prima vergine.

Il refashion è praticamente l’upcycling nel campo della moda. Si tratta di modifiche o riadattamenti di capi o accessori di abbigliamento per dare vita a esemplari nuovi.

Si parla di downcycling o riciclo a cascata (a ciclo aperto) se il materiale ottenuto da processi di riciclo è di valore o qualità inferiore rispetto al prodotto originale in relazione anche al contesto in cui viene utilizzato. Abbigliamento e tessuti per la casa vengono riciclati, ad esempio, in stracci industriali, coperte di bassa qualità, materiali isolanti e tappezzeria; la fibra tessile ottenuta dalle bottiglie in PET.

Nel riciclo a ciclo chiuso il materiale di un prodotto viene riciclato e utilizzato in un prodotto simile (riciclo di un tessuto per ottenere un filato che sarà utilizzato per produrre tessuti).

Tecnicamente ciò che faccio con ARS RICICLA sarebbe dunque sia upcycling che refashion ma per me è  semplicemente ridare vita a ciò che magari non ce l’avrebbe avuta più, sia come rifiuto che come oggetto messo da parte, anche se non ancora buttato. Un’operazione per così dire alchemica che da una fase di disgregazione passa a individuare e creare un nuovo oggetto. In questo modo vado a ripensare e modificare:

  • l’uso del materiale per farne un nuovo oggetto,
  • la funzione/scopo dell’oggetto alla fine del processo, anche se solo estetico,
  • l’aspetto esteriore, cioè forma, dimensione, colore ecc.

Il tutto parte da una relazione di cura degli oggetti e dalla volontà di contenere lo spreco di risorse, combinate con l’aspirazione a creare qualcosa di nuovo, bello e utile. Una buona manualità di base e soprattutto una connessione con i materiali a disposizione aiutano a eseguire un progetto che abbia un’anima.

QUANDO E COME ACCADE

     Quando apprendo nuove tecniche di costruzione o creazione, per fare le prove uso i materiali consigliati dai libri, nei corsi o dai tutorial, ma non appena ho imparato quanto serve, cerco i materiali usati o di scarto più idonei da potere sostituire a quelli comperati in negozio. Poi esploro il miglior modo per ottenere un risultato funzionale e che soddisfi l’estetica. Il progetto arriva come conseguenza di una curiosità e sete di sperimentazione.

(foto: tecnica chiacchierino ingigantita,  applicata per una decorazione murale fatta con filato ricavato da t-shirt e legno di mareggiata, 50×80)

                                 

       Vedo il progetto di qualcun altro che mi ispira, in foto, sui social, a casa di amici, e voglio provare a rifarlo o farlo a modo mio. Cerco quindi di immaginare quali materiali di scarto facilmente reperibili potrei applicare. Il progetto nasce come volontà di riproporre un progetto già esistente che mi piace.

(foto: decorazione fatta con un le pagine di un libro vecchio, vecchio pendente di lampadario di cristallo, carta stagnola dorata, perla di vecchia collana smontata 15×40)

                                 

     Mi “cade l’occhio” su qualche oggetto o materiale smesso o abbandonato e l’oggetto mi parla: “Guardami, sono davvero interessante. Prova a smontarmi, scompormi e girarmi e osservarmi, immaginami in un contesto diverso e vedrai, insieme potremo fare accadere cose belle”. Raccolgo l’oggetto e faccio ciò che mi ha suggerito. Quando arriva l’idea, immagino il progetto e vedo il prodotto finale. Alla fine, decido con che materiali farlo.

(foto: tappeto messicano distrutto dalle tarme > lana sana recuperata > 10 anni dopo lavorata ad uncinetto con inserti a chiacchierino e perline > tesa su una cornice di legni recuperati, 95 x 85 cm – per una descrizione dettagliata del progetto vedi l’articolo “C’era una volta …(2) Il Cuore del Tappeto”)      

                 

      Mi concedo di improvvisare. Questa è un’arte a sé stante che richiede fiducia e assenza di giudizio. Dopo che mi è caduto l’occhio su qualche oggetto o materiale, inizio subito a lavorarlo senza sapere cosa ne verrà fuori. Procedo a piccoli step e solo dopo averne completato uno aspetto sorge l’idea del prossimo. Quindi mi affido e sospendo ogni giudizio sul risultato parziale che ho sotto gli occhi, avendo fiducia che la prossima fase potrà portare solo modifiche migliorative. Il segnale interno, la sensazione che l’opera è finita è molto chiaro, come quando si partorisce.

(foto: “tazza ufo” – tazzina di plastica senza manico, pezzi di bottiglia di plastica e cartone)

                                   

      Sento dentro di me un’immagine o una forma che vuole essere materializzata. In questo caso il progetto non parte da uno stimolo esterno, si tratta di una chiamata interiore (vedi la mia pagina Tu, io e l’arte). Per inclinazione e scelta personale andrò poi ad usare oggetti e materiali di scarto.

(foto: trittico di mani – “xe ciodi”, “a loving hand” “fuck duality” – cartone  bottiglie di plastica carta, pietra, filo d’alluminio)

                                                      

Anche qui, ancora una volta, si tratta di relazione. Certamente, non con qualcuno in carne ed ossa, ma alla fine si tratta comunque di molecole che si parlano, le mie con quelle dei materiali/oggetti che incontro. Ci sono vari i modi per entrare in relazione con il materiale da riciclare o con l’oggetto da riproporre. Le modalità che ho descritto sopra hanno per me pari dignità, perché alla fine ciò che conta è che ne esce qualcosa di mai esistito prima che ha preso vita attraverso di me. Ci ho messo la mia energia, il mio tempo e le mie capacità e in relazione col materiale e/o oggetto individuato abbiamo dato vita ad una nuova possibilità. Non è tanto importante che ciò che ho prodotto sia davvero bello e nemmeno che mi piaccia necessariamente, anche se, lavorando in trasparenza e seguendo le mie sensazioni, di solito esce sempre qualcosa di piacevole (anche pèrche “A fare arte non si è mai da soli” …). A volte vengono fuori anche degli scarrafoni ma, come sappiamo, sono tutti “belli a mamma”; quindi, la gioia di avere creato qualcosa è sempre maggiore del giudizio tecnico o estetico che potrei formulare con un distacco critico.

CONSIGLI UTILI

 

Ci sono alcune regole non scritte o, meglio, degli accorgimenti o comportamenti che, praticati con costanza, diventano spontanei e portano a raggiungere meglio e prima un risultato della creazione che possa dare   soddisfazione e gioia.

OSSERVARE, ASCOLTARE, SENTIRE – Assolutamente imprescindibile per attivare qualsiasi processo creativo. Accendere i sensi, possibilmente tutti. Lasciare fluire le emozioni e seguire la loro onda.

ASSENZA DI GIUDIZIO – Qualsiasi attività venga svolta nel processo creativo è importante che ciò sia fatto per quanto possibile in assenza di giudizio. Il giudizio piega i migliori stimoli e decisioni su come procedere alle aspettative esteriori riguardo al risultato finale.

FUORI DAGLI SCHEMI – “Fuori dalla scatola” o ciò che in altri campi chiamano “agire applicando il pensiero laterale” è un punto centrale nell’attività di riciclo creativo e cioè l’allenamento a vedere oltre, a immaginare le cose non a partire da ciò che sono ma per come potrebbero essere (un raro caso in cui ciò non solo è possibile ma anche consigliato!). Come ho detto sopra, una volta intrapresa, quest’abitudine resta con noi per sempre. Per svilupparla è utile, per esempio, esercitarsi a cogliere le similitudini in ciò che vediamo o osserviamo intorno a noi. Vi ricordate il gioco Aguzzate la vista?

AMPLIAMENTO e APPRFONDIMENTO della VISIONE – Nel gioco Aguzzate la vista della Settimana Enigmistica bisogna trovare le differenze fra due immagini apparentemente identiche. Nel riciclo invece si tratta del processo inverso. Davanti a fatti, immagini, oggetti, persone, movimenti ed eventi dissimili, diversi e divergenti l’esercizio è quello di trovare l’elemento o gli elementi unificatori. Similitudini di forma, peso, colore, dimensione, funzione e quant’altro emerga davanti a noi che possa rappresentare una nuova sintesi.

Questo è il primo passo per scavare sotto la superficie di ciò che sembra quando abbiamo di fronte materiali e oggetti diversi, completamente scollegati fra di loro ma che alla fine possono essere uniti in una forma nuova e coerente.

Un cerchione fa da supporto per un sole – meridiana “Automeridiana – Self-Sun-Dial” fatto di cartone e altri materiali: tifa latifoglia, bacchette di carta, legnetti per lo zucchero dei coffee shop ecc (per una descrizione dettagliata del progetto vedi l’articolo “C’era una volta … (3) L’Automeridiana (Self-Sun-Dial)

Le vaschette monoporzione da party (salvate dalla spazzatura) lavate, colorate, unite con le clip e verniciate diventano un lume.

Un paio di vecchi pantaloni diventa un utilissimo grembiule da lavoro.

ZERO ASPETTATIVE – Un’altra caratteristica importante che deriva dall’assenza di giudizio è il non avere aspettative sull’esito di ciò che si sta facendo. Avere un progetto va bene, cercare di portarlo a termine anche ma se durante la lavorazione qualcosa “va storto” o si apre una nuova possibilità o compare uno scenario inatteso, l’assenza di aspettative è la migliore condizione per seguire il flusso senza rigidità.

PAZIENZA E TEMPO GIUSTO – Pazienza significa perseveranza in assenza di rigidità (garantita da “aspettative zero”). Il tempo giusto è quello che ci dice se è il caso di perseverare e quanto o se è il caso di fermarci, riconsiderare il progetto, cambiare rotta o addirittura ribaltare tutto.

GLI ELEMENTI DEL RICICLO

Come abbiamo visto sopra i tre elementi principali coinvolti nel processo di riuso/riciclo sono:

 

Immaginate un triangolo di base (verde pisello) che rappresenti l’oggetto/materiale riutilizzato o riciclato di partenza con cui si va a creare qualcosa di nuovo. Le forme di diverso colore sovrapposte al triangolo di base esprimono invece il grado di rimaneggiamento o trasformazione che questo oggetto/materiale ha subito nel processo di ri-creazione. Più vasta è l’area sovrapposta al triangolo di base meno riconoscibile sarà l’oggetto/materiale di partenza nell’oggetto nuovo.

Il valore o la qualità percepita o reale dell’oggetto nuovo rispetto a quello originale possono essere trasferiti in una forma 3D dove il triangolo verde pisello è la base di un prisma che si sviluppa al di sopra (valore superiore) e al di sotto di esso (valore inferiore).

In questo passaggio di riuso il materiale/oggetto originale – la bottiglia di plastica – è rimasto totalmente inalterato (infatti il settore che va dal vertice “materiale” in giù non ha forme sovrapposte); l’aspetto (forma dimensione, colore ecc.) è rimasto anch’esso inalterato (il settore che va dal vertice “aspetto” verso destra non ha sovrapposizioni); l’unica sovrapposizione sostanziale si ha nel settore ”funzione” in quanto questa è radicalmente cambiata: da contenitore d’acqua da bere è diventato contenitore di sabbia da utilizzare come peso per l’allenamento.

Qua la bottiglia è stata minimamente modificata nell’aspetto e nel materiale di base (taglio), la funzione invece è stata modificata da bottiglia per l’acqua da bere a vaso di fiori, anche se ancora contiene liquidi.

In questo progetto il cartone, quello delle uova, è stato completamente rimaneggiato nell’aspetto, come materiale e nella sua funzione. È stato ammollato nell’acqua, ridotto a pezzettini e frullato. Diventato massa informe è stato mescolato alla colla (o altri materiali – vedi la pagina  Tu, io e l’arte in questo sito). Infatti, il triangolo azzurro delle modifiche ricopre completamente l’area del triangolo verde pisello. La bottiglia di plastica invece ha subito qualche modifica in tutti e tre gli elementi, più marcatamente nella funzione.

L’aspetto e la funzione della bottiglia di plastica usata come base per la scultura, sono stati completamente modificati, tant’è che gli angoli alla base sono sormontati completamente dalla forma nuova di colore rosa. Il materiale invece ha subito un’importante ma non completa trasformazione (oltre al taglio è stato sottoposto a una lieve lavorazione termica). A volte per raggiungere l’effetto o l’oggetto voluto, colla a parte, bisogna scendere a dei compromessi. Non tutto può essere riciclo puro (qui cartone, carta e plastica), a volte bisogna comperare dei materiali o oggetti nuovi per completare il progetto, in questo caso per esempio il filo d’alluminio.

La bottiglia di vetro è praticamente senza modifiche, intatta come materiale, il suo l’aspetto (esteriorità, forma, colore ecc.) invece è stato modificato. La sua funzione è stata sostanzialmente cambiata anche se è ancora un contenitore per liquidi.

La stessa cosa vale per il cerchione: il materiale è intatto, l’aspetto è modificato in buona parte, la funzione invece è totalmente stravolta. Da notare che lavorare il cartone con la tecnica della cartapesta, cioè, da me ribattezzato” cartonpesto, non è come usare la creta (per una descrizione dettagliata dertl progetto vedi l’articolo “C’era una volta … (3) L’Automeridiana (Self-Sun-Dial).

Nella fase di asciugatura del cartonpesto bisogna fare più attenzione al ritiro, non lo si può lasciare “incustodito” come la creta. Va sorvegliato e al caso ricompattato, a meno che non si voglia creare un effetto apposito. Mentre nella creta il ritiro è pressoché uniforme, col cartone tutto dipende dalla proporzione fra la colla e l’acqua presenti nella massa di fibre che asciugandosi coll’evaporare dell’acqua tirano in varie direzioni.

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