Questa me la paga...
“Come si è permesso/a di farlo? Non gli/le ho né detto né fatto nulla! Gli/le ho dato tutto! Questa me la paga!”
Incolpare e condannare l’altro per i traumi o le ferite subite è una reazione che parte in automatico. E di solito è proprio così, l’altro ha effettivamente affondato il coltello, ci ha fatto male, anche volutamente e coscientemente, e con cattiveria magari. E allora deve pagare.
Ma dove mettiamo la responsabilità di chi è rimasto lì, senza sentire, senza vegliare, senza mettere paletti, senza parlare, senza chiedere aiuto, senza agire, spostarsi o chiudere? Anche questa responsabilità va messa in equazione.
Sappiamo perdonarci di non essere riusciti, in quella data circostanza, ad accorgerci di ciò che stava arrivando o a fare ciò che si sarebbe potuto fare per fermare il torto o l’aggressione?
“Io mi fidavo (volevo bene, amavo ecc.). Non me l’aspettavo, non avevo idea che mi avrebbe trattato/a così”!
Per quanto possibile, ci sarebbe da accogliere che anche l’altro, “l’aggressore” non ha voluto o non è riuscito/a fare altrimenti. Arduo obiettivo. In caso contrario alimentiamo fastidio, astio, risentimento e rabbia imperituri nei suoi confronti, una guerra continua. Succede in effetti che preferiamo vivere in un costante stato di ostilità contro chi ci ha colpito e offeso, non riusciamo a lasciare andare. E comunque c’è sempre il confort della dottrina “occhio per occhio, dente per dente” pronto a sostenerci.
“E ma è lui/lei che ha incominciato e mi ha aggredito (alzato la voce, insultato, ferito ecc.), quindi la guerra l’ha voluta lui/lei, mica io!”
E questo giustificherebbe un’azione contraria e uguale, se non maggiore. Magari anche sfogata su terzi che si trovano nelle vicinanze e sono completamente estranei alla dinamica (anche se, forse, in qualche modo ce la ricordano).
“Sì, tu parli bene ma poi nella pratica…”
Infatti, le parole e le teorie valgono zero, se non le si applica nella pratica. E se uno nella pratica incolpa (e condanna) l’altro per i propri mali e cova astio, rabbia o vendetta nei suoi confronti, quella è guerra personale. Che non è né più giustificata né più santa perché fatta come reazione ad un’effettiva, reale azione aggressiva e nefasta dell’altro.
Non so come la vedete voi. Personalmente mi impegno ad applicare questo schema: separare la persona che mi ha fatto del male dal male che mi ha fatto. Non devo fare finta che non sia successo niente e farmi piacere ciò che mi ha fatto. Anzi, posso e devo sentire tutta la rabbia dell’universo che il dato torto o aggressione mi ha provocato. Ma l’ascolto e la elaboro, non la uso per giustificare altre aggressioni, contrattacchi o vendette. Lo sfogo all’esterno, sia “n’do cojo cojo” sia mirato, dà un senso di finto sollievo sul momento ma in realtà non sana nulla.
Non dico che sia facile. Per nulla. Viene voglia di fare cose nefande per vendicarsi. Però a lungo andare è molto più faticoso e oneroso covare rabbia e mantenere un costante stato di guerra con le persone che mi hanno ferita in qualche modo piuttosto che staccare l’azione dall’agente e trasformarla per conto mio.
“E ma io non sono mica in guerra, la/lo ignoro, mi è indifferente, non mi tocca.”
È senz’altro un bell’escamotage mentale a cui è comodo credere. Sappiamo però che volere ignorare ed essere indifferenti (nella migliore delle ipotesi) implica comunque un dispendio di energia e risorse psichiche che vengono contabilizzate alla voce “male necessario” o “meglio così che subire” o “spese di rappresentanza” ma di fatto fanno parte del circuito bellico “freddo” contro chi ci ha fatto male.
A fare la guerra, calda o fredda che sia, un dispendio di risorse c’è sempre e comunque, altrimenti non si chiamerebbe indifferenza, si chiamerebbe sereno accoglimento. Sereno accoglimento di ciò che è stato, compresa la rabbia che mi è sorta, compreso l’istinto omicida e la sete di vendetta che mi sono saliti. Se li accogliessi serenamente senza lasciarli agire all’esterno, sarei all’interno di un circuito virtuoso in cui queste scorie andrebbero a formare un bel compost di energia alternativa per altri usi personali futuri. Senza costi aggiuntivi. Una procedura ecologica del profondo. Provate la differenza.